Lo UX Writing (o Content design, per la precisione) è una metodologia per creare copy e microcopy per le interfacce di siti web e app. Dire “UX Writing inclusivo” è una ulteriore specifica, ma potremmo dire che lo UX Writing, per la sua natura “UX” (cioè di “esperienza della persona”) è già di per sé inclusivo.
Includere significa “chiudere dentro”. Potremmo traslarlo così: portare dentro chi è fuori. Per farlo dobbiamo prima riconoscere cos’è fuori, e quali sono i motivi che hanno separato questi due spazi.
Se vogliamo essere designer di parole qualche responsabilità però ci tocca, anche se non ci piace o preferiremmo fare altro piuttosto che entrare in questioni spinose e complicate.
Il design inclusivo
Nel settembre 2020 mi hanno invitato a parlare a Talk UX, una conferenza internazionale dedicata al design e alla tecnologia al femminile.
Il tema era lo human centered design; ho fatto la quadra con gli argomenti che mi piacciono di più e ho deciso di parlare di content design inclusivo e accessibile in un talk dal titolo “Copy inclusivo, design inclusivo” (guardalo su YouTube).
Ma prima di tutto, cos’è il design inclusivo?
"Progettare in modo inclusivo significa creare un contesto fisico o digitale in cui l’esperienza può essere fruita dalle persone indipendentemente dalla loro diversità, sia essa fisica, culturale o economica. In pratica, con la consapevolezza che ogni scelta di design non può mai essere neutrale, qualsiasi elemento di un progetto, sia esso un testo, un’immagine, un insieme di opzioni, una forma o un colore, viene progettato in modo da evitare esclusioni." Debora Bottà, Il design può fare la differenza
Il design inclusivo prevede tecniche di progettazione di prodotti che possono essere usati da tutte le persone nella molteplicità delle loro esperienze. Come scrive Marco Bertoni, “oltre a studiare e praticare le tecniche per progettare prodotti inclusivi, è altrettanto importante aiutare le persone a riconoscere in sé stesse i pregiudizi. Se vuoi evitare, per esempio, che i sistemi di intelligenza artificiale incorporino pregiudizi di genere, razziali, sociali o culturali, devi insegnare a chi fa design il valore e il rispetto delle differenze individuali e creare un ambiente di lavoro in cui l’inclusione sia una proprietà emergente”.
Mentre progettavo il mio talk, mi sono resa conto che per essere accessibile il design (e il content) devono essere inclusivi.
Anzi, che senza inclusione non c’è accessibilità.
L’accessibilità dei contenuti
Linguaggio inclusivo e linguaggio accessibile non sono la stessa cosa, ma hanno degli elementi in comune.
Il linguaggio accessibile si rivolge a tutte le persone, è chiaro e comprensibile nel significato linguistico e nel senso che assume nel contesto nel quale la trovo: a livello lessicale e semantico.
Per esempio, il messaggio “Il file ha generato un errore” è chiaro e comprensibile a livello lessicale (capisco le parole della frase) ma a livello semantico no (non mi dà indicazioni, mi impedisce di fare delle azioni).
Un testo accessibile deve essere facile da capire, dire e usare per qualsiasi persona.
Lo standard internazionale per l’accessibilità (anche dei contenuti) sono le Web Content Accessibility Guidelines (WCAG 2.1) del World Wide Web Consortium (W3C).
Le WCAG 2.1 descrivono le tecniche necessarie a rendere i contenuti Web accessibili alle persone con disabilità visive, uditive, fisiche, vocali, cognitive, di linguaggio, di apprendimento e neurologiche, ma anche a persone di età alta con cambiamenti delle abilità dovute al processo di invecchiamento.
I principi alla base delle linee guida sono quattro, riassunti nell’acronimo POUR:
- percepibile
- utilizzabile
- comprensibile
- robusto.
Il principio Percepibile prevede che le informazioni e le componenti dell’interfaccia siano presentate alle persone nel modo in cui possono percepirle. Include quindi le alternative testuali per immagini e audiovisivi, layout adattabili che non perdono informazioni o struttura e contenuti distinguibili dallo sfondo.
Il principio Utilizzabile prende in considerazione l’usabilità delle componenti dell’interfaccia e della navigazione. Include indicazioni sull’accessibilità da tastiera e sul tempo di lettura, su contenuti che provocano convulsioni o reazioni fisiche (per esempio animazioni o lampeggi) e sulla navigazione e gli input da tastiera.
Il principio Comprensibile riguarda la comprensibilità delle informazioni e in particolare dei testi: è quello che ci tocca più da vicino quando parliamo di scrittura. Include la leggibilità e la facilità d’uso e di comprensione di un contenuto, la prevedibilità delle componenti dell’interfaccia, l’assistenza per evitare errori e correggerli. Il principio Robusto descrive in ultimo la compatibilità con le diverse tecnologie, anche quelle assistive.
Misurare lo UX Writing inclusivo
Anche un testo inclusivo deve essere facile da capire, dire e usare per qualsiasi persona, ma con una differenza qualitativa: deve far sentire ciascuna persona rappresentata nella sua individualità di valori e di scelte.
Non è una roba da beghine del Devoto-Oli, è la nostra posizione di designer che hanno il potere di influenzare con le loro parole le scelte digitali di altre persone.
Ma proviamo a restare umili.
Misurare quanto è inclusivo un testo è difficile. Il punto di vista qui è emotivo e soggettivo e richiede uno sforzo di empatia e metacognizione.
Se scrivo un testo accessibile per un sito della PA curo gli aspetti che lo rendono comprensibile a tutte le persone che lo useranno, se scrivo un testo inclusivo devo prima riflettere bene su cosa voglio dire e come dirlo.
L'inclusività vive nel cuore dell'informazione e nel modo in cui il pubblico che la legge la riconosce e la fa sua.
Ci sono parecchie domande scomode da farci, anche se non ci va.
- I testi che scriviamo mostrano che parlo da una posizione di privilegio?
- La mia visione si basa solo sulla mia esperienza o è offuscata da bias di genere?
- Il mio testo è discriminatorio o offensivo per una parte della popolazione?
Un linguaggio inclusivo comprende tutte le persone per età, scolarizzazione, etnia e genere.
E capire se lo stiamo usando o no è facilissimo, direi matematico: se un testo non include, automaticamente esclude.
Regole di UX Writing inclusivo
Potenzialmente, tutti gli utenti di prodotti e servizi digitali possono vivere esperienze di esclusione. Il linguaggio negativo e discriminatorio ha molte forme: divieti di accesso, forzature sull’identità, esclusioni, esperienze psicologiche frustranti.
Dopo mesi di letture, posso dire che la community di UX Writing e Content design una risposta a questo tema ce l’ha: per costruire lo UX Writing inclusivo è necessario che sia condiviso.
Bello. Ma come si fa?
Come si fa in generale non lo so, ma ti racconto come lo facciamo noi.
Vietato l’ingresso ai maggiori di 65 anni
Abbiamo scoperto che un’esperienza frustrante per molte persone è scrivere la propria età nei moduli di registrazione.
Non è un buon modo per iniziare una relazione umana o commerciale, e per questo il box dell’età non lo inseriamo mai.
Se il cliente arriva a minacciare di non pagarci se non lo inseriamo, scegliamo le fasce d’età (personalmente sono a cavallo di una di queste fasce e allora dichiaro il falso per ripicca).
Alcuni siti considerano come età accettabile dai 18 ai 65+. Varrebbe la pena ricordare che l’età della popolazione mondiale cresce, e che 65+ può arrivare a comprendere parecchi decenni di pensioni e di fette di mercato, per parlare solo in termine di dané.
Genere o sesso
C’è ancora molta confusione sulla differenza fra genere e sesso.
Il sesso è il genere che abbiamo alla nascita, il genere è l’identità alla quale sentiamo di appartenere o di non appartenere.
Per questo è corretto chiedere il genere aggiungendo alla classica divisione F/M anche altre voci: le più comuni sono “altro”, “non binary”, “preferisco non dirlo”. Altro è orribile: sembra dire che c’è una cosa giusta e un’altra cosa. Anche “non binary/non binario” è simile. La soluzione migliore sarebbe permettere alla persona di autodefinirsi, in un campo libero.
In italiano e nella maggior parte delle lingue, il campo del genere è superfluo e va inserito solo se strettamente necessario.
Più complicata la questione del pronome: in inglese si usa “they/them” al posto di “she/her” e “him/his”, noi non abbiamo un vero e proprio neutro, ma valgono le regole per evitare i maschili (o femminili) usando sostantivi o le solite soluzioni punk.
Professioni e no
Abbiamo smesso di dire che Photoshop è per graphic designer, fotografi, illustratori e 3D artists. Diciamo invece: Photoshop ti aiuta a creare grafici, fotografie, illustrazioni e 3D art. È un passaggio sottile che va da una forma prescrittiva e esclusiva a una più inclusiva. Il linguaggio assegna un valore alle parole: se dico che una persona è confinata su una sedia a rotelle do un giudizio, se dico che usa la sedia a rotelle libero la frase." Andy Welfle, Product Content Strategist per Adobe
Prodotti per chi?
Se il nostro linguaggio dice a un potenziale utente che nella progettazione non abbiamo pensato alle esperienze che farà, non userà i nostri prodotti.
Sara Watcher-Boettcher, Coach, Strategist e autrice di Technically Wrong: Sexist Apps, Biased Algorithms, and Other Threats of Toxic Tech, ha parlato spesso di app di fitness che danno per scontato che chi le userà è in forma e vuole migliorare le proprie prestazioni. I messaggi premiano chi supera gli obiettivi fissati e mostrano emoji scontente per performance “disallineate”.
Cosa succede però se a usarle è una persona in riabilitazione o che ha caratteristiche fisiche o psicologiche non previste dalle impostazioni iniziali?
Punti di vista diversi
Qualche soluzione per migliorare l’inclusione però c’è:
1. Cambiare prospettiva. Se devo chiedere “Chi è il proprietario dell’auto?” posso dire “A chi appartiene l’auto”. L’oggetto della domanda non è più la persona, ma il bene.
2. Spiegare meglio. Le parole hanno potere, e chi le usa di più. Spiegare permette alle persone di avvicinare i prodotti, i servizi, e capire se fanno per loro, in qualsiasi condizione.
4. Eliminare quello che non serve. Ci sono dati non necessari, che fanno polvere nei database e servono solo per alimentare il delirio di onnipotenza. Il dato in sé non ha valore. Ce l’ha il motivo per cui lo chiediamo.
Insieme ad Andrea Fiacchi e Alice Orrù ho scritto un manuale pratico dedicato proprio al linguaggio e alla scrittura inclusivi e accessibili (con un capitolo dedicato a microcopy e UX Writing inclusivo). Si chiama “Scrivi e lascia vivere“, è pubblicato da Flaco Edizioni e puoi leggerne un estratto in questa pagina.
Bibliografia:
- Design for guidance by Microsoft
- How to begin disegning for diversity
- This is HCD – Michael J. Metts & Andy Welfle
- Inclusive Design: Making Websites Accessible to Everyone
- Michael J. Metts & Andy Welfle, Writing is designing (Rosenfeld 2019)
- Alice Orrù, Andrea Fiacchi, Valentina Di Michele, Scrivi e lascia vivere. Manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile (Flaco Edizioni 2022)