Onboarding, o di come la prima impressione è quella che conta

Una donna tappa sullo scermo del suo cellulare

Ti raccontiamo perché secondo Officina Microtesti l’onboarding è uno dei momenti più delicati  e perché  è proprio qui che chi ti incontra per la prima volta si può trasformare in un cliente affezionato.

C’è un mantra nel marketing che recita ‘crescere, crescere, crescere’.

Ma siamo sicuri che questo significhi per forza coinvolgere nuove persone, attirare nuovi utenti verso un prodotto o un servizio?

Saremo controcorrente ma per noi la risposta è decisamente no.

Aumentare le visite, aumentare gli iscritti o aumentare semplicemente come numero non ha poi questo gran significato se pochi minuti, pochi giorni o poche settimane dopo si viene abbandonati.

Crescere, per noi ,significa che quando una persona atterra poi non se ne va più.

E prima di addentrarci in questo tema una domanda di forma: perché anche in italiano utilizziamo il termine onboarding?

È un termine che gli UX designer hanno preso in prestito dalle risorse umane e che non ci siamo più scrollati di dosso.

L’onboarding è proprio quando una persona entra a far parte di un nuovo team o sale a bordo in un nuovo progetto e si prendono tutte quelle accortezze per farlo sentire così a proprio agio non solo da fargli pensare che si trova nel posto più bello ed efficiente che ci sia, ma anche che non vorrà mai più lasciarlo. 

Il testo nell'immagine dice: "Ciao Elena, ti diamo il benvenuto! Sei più di un pettorale, di un record personale o del parziale della tua ultima corsa. Aiutaci a scoprire cosa si nasconde dietro ai numeri."

Presentarsi per come si è 

Prima regola dell’onboarding: essere sinceri. Solo perché è il momento di fare bella figura non c’è motivo di gonfiare le piume ed esagerare i propri pregi.

Il vero potere dell’onboarding è quello di mettere in evidenza quelli che sono i punti di forza di un prodotto o di un servizio: chi ci ha scelto non dovrebbe scoprirli in maniera autonoma o attendere che si rivelino con il tempo e l’utilizzo. 

Possibilmente on the go 

Hai notato come quasi tutte le app oggi hanno un onboarding statico da sfogliare?

È diventato un grande classico: tre o più card che fungono da guida. Ed è proprio questo il problema: si tratta di una soluzione che è diventata quasi un problema. Perché?

  • Perché questa introduzione viene percepita come un fastidioso blocco che si frappone con l’agognato momento in cui finalmente potrò fare qualcosa.
    La maggior parte degli utenti si annoia a leggere quello che può fare, vuole farne subito esperienza.
  • Perché somiglia tanto a quel libretto delle istruzioni che non leggeresti neanche sotto tortura. Soprattutto perché ancora non sai se ne vale la pena o no
  • Perché la nostra memoria a breve termine è molto selettiva e non le si può chiederle di imparare in anticipo quello che comincerà a vedere solo in seguito. Anzi, è molto probabile che venga dimenticato non appena chiudiamo le tre card di benvenuto. Sempre che non siano state skippate come abbiamo scoperto che fa almeno il 50% degli utenti. Uno su due non è poco!
Onboarding di BeReal. Dice "Commenta e reagisci con i tuoi amici"

Si impara facendo e non leggendo

Per tutti questi motivi preferiamo un approccio che sia contestuale, con indicazioni focalizzate su una singola azione, che compaiono solo quando si raggiunge la sezione di cui si sta parlando e solo per chi sta facendo il primo accesso.

O ancora meglio ci piacciono le soluzioni ancora più interattive realizzate con animazioni, le cosiddette ‘hint motion’ perché letteralmente ti suggeriscono cosa fare con un movimento accennato e da completare – unendo l’utile all’usabile.

Quando il contenuto fa la differenza

L’onboarding ci presenta una casa vuota, è ancora tutto da personalizzare qui: non ci sono mobili, nessuno ha appeso i quadri alle pareti ed è tutto così bianco! Ma la prima esperienza non deve per forza essere così, c’è il contenuto a fare la differenza. Il contenuto di quelli che altrimenti sarebbero stati vuoti.

Trovare il contenuto adatto per gli stati vuoti significa innanzitutto placare l’ansia di chi si trova in un posto nuovo e non sa cosa aspettarsi e nel migliore dei casi trasformerà un momento di inerzia in uno di interazione.  

Si torna sempre dove si è stati bene

La seconda regola dell’onboarding è far sentire bene chi ti ha seguito fino a qui. L’avrai notato con i luoghi fisici: se ti trovi a tuo agio in un posto, tenderai a tornarci. È così anche nel mondo digitale.

Ecco perché quando qualcosa è andato a buon fine è una grande occasione per creare una connessione emotiva con chi sta usando il prodotto o il servizio.

Questo poi è finalmente il momento in cui il tone of voice può dare il meglio di sé, rendendo ancora più umana una voce di prodotto con una vera e propria personalità che, come nel caso più noto, ti dà il cinque per premiare la creazione o l’invio di una email.

Misurare sempre, misurare tutto

Per scoprire come migliorare l’onboarding è essenziale prima di tutto definire quali metriche ci interessa prendere in considerazione.

Se la più classica è quella dei nuovi accessi noi suggeriamo di mettere in primo piano la retention e la fidelizzazione facendo:

  • user testing con strumenti come mappe di calore e di scorrimento per analizzare nel dettaglio il comportamento degli utenti e scoprire dove si può intervenire in modo incisivo per migliorare l’esperienza degli utenti;
  • raccolta di feedback qualitativi tramite questionari o ancora meglio interviste in viva voce per avere un assaggio ancora più reale di ciò che pensa sul serio chi usa un prodotto e un servizio.